Veneto Green Cluster


La nostra riflessione in proposito alla crisi economica innescata dall'epidemia COVID 19, investe solo il profilo che più ci riguarda direttamente, ossia quello della ricerca e dello sviluppo, leve fondamentali di crescita aziendale anticicliche, che assumono una particolare rilevanza in momenti storici, quale quello attuale, in cui, veramente, i fattori di crisi devono trasformarsi in nuove opportunità.

Ascoltando e ragionando con alcuni imprenditori della RIR Veneto Green Cluster, sono emerse alcune riflessioni che intendiamo condividere sinteticamente.

Il primo punto messo in luce, riguarda l’interruzione delle cosiddette filiere estese globali, sia di approvvigionamento di materia prima o semilavorati sia di vendita e commercializzazione dei prodotti e dei servizi, e la loro fragilità rilevata nel momento emergenziale. L’interruzione di queste lunghe catene, la brusca cessazione di rapporti commerciali o produttivi avvenuta in queste ultime settimane determinerà danni, non ancora stimabili in termini relativi o assoluti, certamente non riparabili nel breve periodo.

Questo dato di fatto sta facendo riflettere gli imprenditori sui modelli produttivi e organizzativo adottati dalle proprie aziende fino a questo momento, in alcuni casi addirittura ripensare il proprio modello di business: un punto particolarmente discusso è la rivalutazione degli asset interni aziendali e territoriali.

In altre parole, le aziende leader che fino a ieri recuperavano risorse in varie parti del mondo in funzione di vari fattori di convenienza, prevedono che nella fase di ripartenza dovranno trovare tali risorse a “km 0”, rafforzando o ricostruendo filiere corte, fino a quando non sarà ristabilita una affidabile supply chain estesa, con tempi alquanto incerti, partner e “regole di ingaggio” cambiati.

Un secondo punto che emerge dai confronti, è legato alla domanda tanto semplice quanto cruciale che tutti si pongono con preoccupazione: i clienti preCovid19, in particolare quelli presenti nei mercati internazionali, ci saranno ancora al momento della ripartenza? Probabilmente molti di essi avranno trovato, nel frattempo, altri fornitori/partner in altre aree del mondo. Da qui una secondo profonda riflessione, che investe la necessità di ripensare il business model per individuare una nuova proposta di valore che riesca a riagganciare i vecchi clienti e possibilmente aprire a nuovi segmenti di mercato.

Alla luce di queste riflessioni, si vanno a delineare tre linee strategiche in tema di investimenti in materia di ricerca e sviluppo:

1) Ricercare nuove fonti di approvvigionamento delle materie prime, di energia, di servizi ad alto contenuto di conoscenza con filiere corte, al fine di riconsolidare velocemente le basi dei processi aziendali con soluzioni capaci di ammortizzare anche (o in parte) l’impatto di future situazioni emergenziali;

2) Efficientare, ammodernare i processi produttivi, spingendo verso una estrema ottimizzazione delle performance, sia dal punto di vista qualitativo, quantitativo e di consumo delle risorse;

3) Ripensare i modelli di business, lanciare nuovi prodotti e servizi in grado di ampliare e differenziare l’offerta, quindi raggiungere mercati prima non considerati.


Per quanto riguarda il primo punto, le linee di R&S da spingere riguardano:

A. Recupero di materia prima: visto che le materie prime tradizionali scarseggiano, risulta evidente l’esigenza di recuperare Materie Prime Seconde, il che significa sostenere i processi e le tecnologie di recupero, creare un mercato delle MPS ove il costo delle MPS sia inferiore a quelle delle materie prime vergini,

B. Rinforzare la dotazione impiantistica ed infrastrutturale idonea a garantire, su tutto il territorio, riciclo e recupero. Liberare risorse per realizzare impianti pilota capaci di trattare e recuperare i rifiuti, valorizzare sottoprodotti tramite estrazione di sostanze pregiate, sperimentare nuovi processi di disgregazione termica molecolare (ad es. pirolisi, pirogassificazione, ecc.) che impattato limitatamente con l’ambiente; il tema dello sviluppo impiantistico e quello del mercato di sbocco sono strettamente collegati, poiché il primo sarà tanto più necessario quanto ci sarà la possibilità di valorizzare, preferibilmente sul mercato nazionale, le MPS.

Nonostante molte siano le esperienze di simbiosi industriale, in cui imprese contigue (territorialmente o come settore) riescono ad intraprendere un percorso virtuoso in cui gli scarti di una vengono valorizzati dall’altra, e nonostante vi siano settori particolarmente propensi all’utilizzo di MPS nelle loro produzioni, ancora oggi, per molti materiali, è più conveniente acquistarli come materia vergine o ricorrere ai mercati stranieri per approvvigionarsi di MPS. O, in altri casi, è conveniente ricorrere a recupero energetico piuttosto che al riuso o riciclo. Evidentemente queste situazioni devono radicalmente cambiare, utilizzando paradigmi normativi, economici e di consumo sostanzialmente diversi dagli attuali.

Ritornando alla pratica quotidiana, portiamo il seguente esempio: in questo periodo il trasporto di rifiuti industriali all’estero prodotti in Italia (Germani, Slovenia, Austria, ecc.) è particolarmente semplificato rispetto periodo preCovid19 (anche rispetto alle altre “merci”, spesso bloccate al confine). Questo accade perché i Paesi destinatari termovalorizzano i rifiuti, hanno centrali che bruciano rifiuti per produrre energia necessaria ad alimentare il loro “sistema Paese”; il paradosso è sempre più stridente: proprio in questo periodo in cui il rifiuto avrebbe un valore economico maggiore (l’arresto delle produzioni industriali diminuisce l’offerta/disponibilità di rifiuto) continuiamo, noi italiani, a pagare quei Paesi per il conferimento del nostro rifiuto, ossia paghiamo la produzione dell’energia e derivati che contribuiscono ad alimentare i loro sistemi economici, spesso a noi concorrenti nel mondo.


Per quanto riguarda il secondo punto, le linee di R&S riguardano:

C. Efficientare i propri sistemi produttivi con livelli di performance e di consumo energetico spinti all’estremo (quindi automazione e 4.0, machine learning, ecc.), quindi ottimizzare gli impianti e le attrezzature esistenti in tali direzioni;

D. “Terziarizzare” alcuni processi aziendali (servizi tecnici, amministrativi, ecc.) rendendoli stabili e performarti in questa dimensione: le esperienze di smart working di questo periodo stanno facendo comprendere i limiti e i vantaggi di gestire a distanza le attività con i propri collaboratori; l’esigenza è quindi di progettare nuove soluzioni organizzative, gestionali e tecnologiche. 

La parola d’ordine è comunque irrobustire i propri asset interni (capitale umano, impianti e attrezzature) al fine di avere una forza maggiore per ripartire in una situazione di mercato sostanzialmente diversa.


Per quanto riguarda l’ultimo punto, il tema del ripensamento dei modelli di business va letto nella logica di ricostruire una filiera corta (anche con costi di fornitura maggiori, ma certi e verificabili) e differenziare l’offerta. In questa direzione la R&S va indirizzata:

E. A livello micro: supportare la ricerca di nuovi prodotti e servizi sostenibili realizzati attraverso processi di economia e bioeconomia circolare (quindi favorendo quelle aziende che hanno investito in queste filiere e che ora devono valorizzare questi investimenti, oppure favorendo quelle aziende che intendono riposizionarsi in tali filiere)

F. A livello meso: sostenere progetti di ricerca in filiere venete di eccellenza che non riescono ad esprimere tutti i loro potenziali (ad es.: packaging alimentare, lavorazioni plastiche) e a differenziare le produzioni, a causa di una dimensione troppo piccola e di un mercato che li costringe ad essere tra loro concorrente anziché essere concorrenti con sistemi industriali di altri paesi.

In questa situazione contingente, un esempio di progetto di R&S che si porrebbe nella direzione di ricercare nuovi modelli di business sostenibili, potrebbe riguardare il recupero dei dispositivi di protezione individuale utilizzati per affrontare l’epidemia Covid19, che saranno prodotti in quantità inimmaginabile nel mondo. In Italia, classificati come rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo per legge, i DPI devono essere destinati agli impianti di incenerimento. Ma le quantità così elevate di rifiuto da DPI (tra l’altro proveniente da fonti anche non ospedaliere, quali i rifiuti indifferenziati urbani) e la limitatezza degli impianti di incenerimento/termovalorizzazione presenti in Italia, imporrebbero l’individuazione di soluzioni alternative o straordinarie. Da un lato i vincoli normativi, dall’altro la complessità e onerosità di avviare un processo industriale di recupero dei DPI, scoraggerebbe qualsiasi investitore privato pronto a cogliere il momento e lanciare un nuovo business: ecco che la ricerca e lo sviluppo sperimentale, accompagnata dall’Università (che renderebbe disponibile risorse scientifiche e tecnologiche) e sostenuta da Amministrazioni e Enti pubblici che mettono a disposizione le necessarie risorse finanziarie all’interno di un sistema regolatorio/normativo adeguato e incentivante, potrebbero essere la soluzione per trasformare gli effetti di una crisi profonda in opportunità di crescita e di lavoro.



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